venerdì 28 dicembre 2012

La "cura del ferro" per debellare traffico e inquinamento


Le ragioni della cura del ferro sono tutte di importanza strutturale per l’Italia.


L’aumento del traffico è principalmente causato dal diradamento delle grandi città verso le aree metropolitane. Gran parte delle conurbazioni sono dilagate nei rispettivi hinterland, creando intorno alla parte consolidata una galassia di insediamenti sparsi. Le chiamiamo ancora con i nomi storici – Roma, Napoli, Milano ecc. – ma sono oggetti geografici completamente diversi dal passato. La campagna si è fatta metropoli senza passare per la città.

Le conseguenze di tale forma insediativa si fanno sentire soprattutto nell’aggravamento dei problemi di mobilità. I cittadini vanno ad abitare sempre più lontano, ma d’altro canto hanno bisogno comunque di recarsi in città per lavorare, con l’evidente accentuazione di tutti i fenomeni di pendolarismo. Aumentano così il numero e la lunghezza degli spostamenti e in molti casi l’uso dell’automobile diventa una scelta forzata. In queste condizioni le politiche positive per la mobilità, intraprese da molti Comuni, sono vanificate dagli effetti delle trasformazioni urbanistiche. Ciò che sembra quasi un destino cinico e baro non è altro che la conseguenza, almeno in parte, di trasformazioni urbane lasciate a se stesse.

Per questo motivo l’inquinamento urbano continua a essere un problema grave. Rispetto agli obiettivi di Kyoto, l’inquinamento causato del trasporto non solo non è diminuito, ma è pericolosamente aumentato. Il pendolarismo ha contribuito significativamente all’aumento vorticoso - +235% - dell’uso dell’automobile negli ultimi trent’anni. Anche i morti sulle strade aumentano soprattutto nelle aree metropolitane.
Il guasto più grave di questo dissennato sviluppo metropolitano è proprio nel rapporto perverso che si è realizzato tra mobilità e organizzazione territoriale. La città diffusa aumenta la dipendenza dall’uso dell’automobile e quindi richiede la costruzione di nuove strade che a loro volta accentuano il diradamento urbano, innescando così un circuito vizioso che porta alla saturazione del territorio, con il paradosso di insediamenti a bassa densità connessi da strade perennemente ingorgate.
Per compiere la svolta c’è solo una politica possibile: investire decisamente sul trasporto pubblico, sulla scala dell’area vasta dove ormai si è collocata la dinamica urbana. Il recupero e il potenziamento delle ferrovie locali assume quindi un’importanza strategica, non solo per migliorare il servizio pubblico, ma per rendere possibili nuove scelte di pianificazione territoriale.




Si presenta una grande occasione per compiere la svolta. Nel prossimo decennio, se saremo in grado di concludere la lunga e faticosa attuazione della rete ad alta velocità, avremo una disponibilità aggiuntiva del 50% sui tracciati ferroviari delle reti regionali. Se a questi si aggiungeranno tante linee locali ancora ampiamente sottoutilizzate e i vecchi impianti delle cosiddette ferrovie concesse, abbandonati negli anni Settanta, diventerà possibile realizzare una potente armatura su ferro nelle principali aree metropolitane.
Negli anni Cinquanta in Germania si ricostruirono le vecchie ferrovie realizzando la rete S-Bahn, che ha consentito alle piccole città tedesche di sopportare un’equilibrata diffusione nell’hinterland e, nei centri più grandi, di integrare il trasporto a lunga distanza con le metropolitane classiche, le U-Bahn, e le reti tranviarie saggiamente conservate. La stessa cosa si deve fare in Italia, seppure con mezzo secolo di ritardo, non in seguito a una guerra, ma come logica conseguenza della realizzazione della rete di alta velocità. Si tratta dell’intervento strutturale più importante per le città italiane, l’unico in grado di migliorarne i servizi e nel contempo di renderle di nuovo pianificabili.

Questa politica non solo è utile, ma in un certo senso è anche obbligata. Stiamo spendendo per l’alta velocità circa 30 miliardi di euro; se l’unico risultato fosse il risparmio di mezz’ora nel viaggio medio sarebbe davvero un investimento discutibile. La sua utilità strutturale consiste invece proprio nel liberare gran parte della rete attuale per il trasporto regionale; se non li riutilizzassimo avremmo dei rami della rete semplicemente ridondanti, ovvero degli investimenti pubblici sottoutilizzati.
Lo sviluppo delle reti regionali dovrebbe diventare una politica di grande impegno tecnico e finanziario, con un programma pluriennale di investimenti per la ristrutturazione dei vecchi impianti, miglioramento della qualità del servizio, nuovo materiale rotabile, progetti di riorganizzazione territoriale intorno alle stazioni. Occorrono approcci moderni nella progettazione, nelle modalità realizzative e nella cultura del servizio di un nuovo tipo di ferrovie, che non hanno nulla a che vedere con l’attuale trasporto locale di FS. Non devono essere più i tracciati di serie B della rete nazionale, secondo la mentalità purtroppo consolidata in quell’azienda, ma vanno considerati gli assi portanti di moderne reti metropolitane, come le travi su cui appoggiare tutti gli altri sistemi di trasporto urbani: metropolitane, tram e autobus.

Una volta definito lo schema di area vasta è possibile definire le reti integrate di trasporto all’interno delle città. Qui occorre superare l’attuale legislazione nazionale che finanzia singole opere secondo un’assurda separazione modale: esistono leggi distinte per le metropolitane, per gli autobus, per i parcheggi e per le piste ciclabili. Il contributo finanziario dello Stato deve invece mirare all’attuazione di Programmi Urbani di Mobilità (PUM), secondo modelli di integrazione modale, lasciando alle scelte progettuali, non alle norme, l’individuazione delle diverse tecnologie di trasporto. I PUM devono indicare le prestazioni che si vogliono raggiungere secondo parametri verificabili, in modo che il finanziamento statale sia allocato sui progetti più efficaci per il miglioramento della mobilità.

Lo sviluppo delle reti ferroviarie offre a ciascuna regione il quadro di riferimento per disegnare l’integrazione di tutte le linee di trasporto. Con tale approccio si può essere sicuri di realizzare investimenti efficaci sulle altre modalità, le metropolitane per quelle poche grandi città che ne hanno davvero bisogno e soprattutto i tram per tutte le grandi e le medie città. Alla fine degli anni Novanta i governi di centrosinistra lanciarono grandi investimenti sulle metropolitane e sui tram che solo oggi sono arrivati in attuazione. Abbiamo finalmente opere da prendere ad esempio, come la metropolitana torinese e quella napoletana.
Abbiamo cominciato a realizzare i nuovi tram all’europea, di grande capacità di trasporto, eleganti ed efficaci, che non hanno niente a che vedere con i vecchi tram sferraglianti del secolo scorso. Le città europee che li hanno realizzati ne hanno colto le opportunità per riqualificare i rispettivi centri storici, con ampie pedonalizzazioni e nuove qualità urbane. 
Città come Strasburgo proprio puntando sul tram sono uscite dal declino urbanistico e si sono collocate alla testa delle migliori politiche urbane europee. Anche in Italia si comincia a vedere qualcosa di buono. Proprio dove erano state più aspre le polemiche ai primi annunci, i nuovi tram si sono affermati come le migliori linee di trasporto: a Padova il tram è stato al centro dello scontro politico per almeno tre mandati elettorali e oggi è un vanto condiviso dalla cittadinanza; a Roma il tram 8, accusato perfino di portare jella, è diventato oggi il mezzo di trasporto più amato dai cittadini. Importanti realizzazioni ci sono state anche al sud, a Messina e a Sassari. Di grande efficacia la nuova linea di Firenze, anche per i turisti, che consente di lasciare l'auto a ridosso dell'autostrada per arrivare in centro storico con un mezzo di trasporto non inquinante.

Ci sarà poi bisogno di un fondo straordinario per il rinnovo del materiale rotabile che costituisce una vera emergenza nazionale. Il ritardo accumulato ha portato ad un pericoloso invecchiamento di tutto il patrimonio dei rotabili che ha raggiunto la vita media più alta in Europa. Per acquistare bus e treni necessari a gestire le nuove infrastrutture e gradualmente rinnovare i mezzi esistenti sono necessari due miliardi l’anno. Altrettanto si deve investire per il finanziamento dei PUM, per complessivi quattro miliardi annui, di cui si possono attribuire due allo Stato e due a regioni e comuni.
Le risorse necessarie possono essere reperite nel modo seguente: 1) fondi dalle nuove politiche europee di investimento; 2) finanziamenti recuperati dalla cancellazione di opere inutili contenute nell’elenco dei 240 interventi della legge obiettivo; 3) liberalizzazione dei servizi di trasporto per ridurre costi di gestione, salvaguardando i diritti dei lavoratori, e aumentare di conseguenza le risorse per gli investimenti; 4) prelievo fiscale sulle tariffe autostradali in modo che sia l’automobilista a pagare il trasporto su ferro, essendo un soggetto che ottiene un miglioramento nell’uso dell’automobile in seguito alla cura del ferro; questo prelievo può essere compensato se nel frattempo si abbassano le tariffe rivedendo le generose convenzioni che hanno regalato alle società autostradali diversi miliardi di euro per investimenti mai realizzati.

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