giovedì 25 febbraio 2016

La città è una questione nazionale

Pubblico qui di seguito la rielaborazione di un mio articolo per L'Unità del 24 Febbraio 2016.


Le città sono la carta non ancora giocata dall’Italia per uscire dalla crisi. All’inizio della Seconda Repubblica ci fu un breve momento in cui sembrò possibile calarla sul tavolo, ma è purtroppo passato in fretta. Le politiche urbane sono diventate asfittiche e i governi nazionali le hanno sommerse con alluvioni normative - i bilanci, le procedure, gli appalti, la fiscalità, le aziende, gli assetti istituzionali - senza alcuna idea strategica. Nel frattempo i paesi europei sono dotati di stabili agende urbane che parlano di contenuti e non di leggi, e interagiscono meglio di noi con il lato positivo delle politiche di coesione dell’Unione.

Eppure molte questioni nazionali sono imbrigliate nella dimensione locale. La crisi delle banche dipende in buona parte dai valori immobiliari gonfiati, che oggi pesano sui bilanci come crediti non esigibili. La rendita finanziaria ha utilizzato la rendita immobiliare come veicolo fino all’esplosione della bolla. I dividendi sono andati comunque ai proprietari, lasciando ai sindaci i deficit di infrastrutture. Oggi il mattone è fermo in attesa di ricominciare come prima, ma forse proprio la crisi richiede una svolta. Il valore immobiliare può tornare a crescere solo se aumenta la quota ripartita a favore degli investimenti pubblici. Non si devono più svendere i patrimoni pubblici, bisogna utilizzarli come leva per migliorare la qualità urbana, la dotazione infrastrutturale, l’edilizia sociale e per liberare l’economia dell’innovazione dal peso del mattone, per mettere in concorrenza gli operatori che realizzano normali profitti invece delle immeritate rendite del passato.