giovedì 12 gennaio 2017

A proposito del fast food in centro


Durante le ultime feste natalizie, ho firmato un appello contro l’apertura di un ristorante McDonald’s nel quartiere Borgo Pio di Roma. L’ho fatto cogliendo la parte a mio giudizio più significativa dell’appello, tuttavia riconosco anche le ragioni di chi lo ha criticato sostenendo che il degrado attuale non dipende dal nuovo fast food, ma dall'incuria dei servizi e dall'abusivismo sempre più arrogante e impunito.

La questione mi ricorda le battaglie che ci furono trent’anni fa in occasione del primo insediamento romano di McDonald’s a Piazza di Spagna. Vedemmo addirittura manifestazioni di strada e grandi dibattiti in Consiglio Comunale come in Parlamento. Anche a me capitò di esprimere perplessità analoghe alle argomentazioni che si usano oggi per criticare l’appello (si veda quanto scrivevo in Roma, che ne facciamo, Editori riuniti, p. 172). E a posteriori possiamo forse pensare che proprio quel primo ristorante convinse i manager a cercare un rapporto di integrazione con gli stili di vita locali. Il carattere romano nonostante tutto è in grado di influire, se ben sostenuto, sui processi che pure lo investono.

La catena americana è stata spesso considerata, più o meno ingiustamente, un simbolo della decadenza dei centri storici. Per riportare la discussione alla realtà dobbiamo definire il metro di giudizio che adottiamo. Nelle circostanze attuali, perfino il brand della M gialla potrebbe essere considerato ragionevolmente come un miglioramento. Se invece l’identità storica del borgo e di altri rioni fosse non solo curata, ma rielaborata in stile contemporaneo - ben oltre la retorica romanesca - e alimentata mediante servizi efficaci e culture creative, l’ennesima ristorazione seriale apparirebbe automaticamente, senza bisogno di appelli, come un passo indietro.


Un salto di qualità è realizzabile utilizzando i nuovi strumenti legislativi. È possibile trovare nuove regole per tutelare l’interesse pubblico e fornire certezze a chi vuole investire sulla trasformazione urbana. Il recente decreto legislativo del governo Renzi (222/2016) fornisce poteri amministrativi adatti a regolare le funzioni commerciali legali e a reprimere quelle abusive nei centri storici. Spetta ai Comuni applicarli al meglio: il sindaco di Firenze Nardella è già impegnato nella fase attuativa, mentre l'amministrazione capitolina non sembra neppure consapevole delle nuove competenze che ha ricevuto.

Inoltre, nella commissione Cultura del Senato è in discussione un disegno di legge, di cui sono firmatario insieme ai senatori del PD, sulla tutela delle aree Unesco che impegna i Comuni a dotarsi di un organico e qualificato “piano di gestione”. Sarebbe lo strumento più efficace per tutelare e trasformare gli antichi rioni.

Le nuove leggi dovrebbero spostare la discussione sulle soluzioni più innovative e sui modi più efficaci per realizzarle, superando quindi la contrapposizione tra favorevoli o contrari sulle singole attività commerciali. Certo l'appello si prestava a questa unilateralità, ma la parte più significativa voleva richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e degli amministratori proprio sui nuovi strumenti che consentono di governare le trasformazioni commerciali dei centri storici.

D'altro canto, le leggi non bastano se non si affrontano organicamente le cause urbanistiche e sociali della decadenza. La principale è sicuramente da individuare nella perdita dei residenti attestata sull'uno per cento l'anno, che riguarda soprattutto la quota giovanile, ormai tre volte inferiore nelle aree centrali rispetto ai valori massimi degli altri quartieri. Se non sono vissuti dai residenti i vecchi rioni perdono inesorabilmente l'identità, e nessuna legge sul commercio può ostacolare il degrado. L'esodo verso la periferia è la patologia che produce da molto tempo un doppio malessere: da una parte una città senza cittadini e dall'altra cittadini senza città; da un lato rioni che perdono la vitalità urbana e dall'altra quartieri isolati nella campagna e nella funzione residenziale.

Si dovrebbe governare il processo esattamente al contrario, spostando il terziario per arricchire di funzioni la periferia e liberare spazi centrali per la cultura e per il ritorno dei residenti soprattutto giovani. Per sostenere questa trasformazione urbanistica era stata impostata la cura del ferro come rete integrata di metropolitane, tram e ferrovie. Mi ha stupito che in questi giorni Sergio Rizzo sul Corriere della Sera abbia rilanciato l'ambizione di questo progetto. Sembrava ormai impossibile perfino parlarne poiché l'emergenza quotidiana ha preso il sopravvento e comprensibilmente sollecita soluzioni più immediate. Ma i primi passi della nuova amministrazione, al netto dell'inadeguatezza, dimostrano che non si risolvono neppure i piccoli problemi senza una strategia più ampia.


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